BEATO QUEL PAESE CHE NON HA BISOGNO DI EROI

Nel pieno di questa epidemia, una cosa è certa: la sicurezza di tutt* le/i lavorator* che svolgono attività sanitarie, di assistenza o di front office deve essere garantita e lo dobbiamo pretendere senza sconti.

Al 19 marzo l’Istituto Superiore di Sanità dichiarava che 3.559 professionist* sanitar* erano stati contagiati dal COVID-19, l’8,6% dei casi totali in Italia. Percentuale più che doppia rispetto ad uno studio (JAMA) condotto in Cina che la stimava pari al 3,8%. Riteniamo che questo dato sia notevolmente sottostimato, visto che non si fanno tamponi se non ai sintomatici con disturbi respiratori e sicuramente non include tutto il personale che collabora al funzionamento delle strutture sanitarie e di assistenza con diversi compiti e mansioni (imprese di pulizia, manutentori, addett* alle mense e al trasporto malati).

L’impreparazione del nostro sistema sanitario nell’affrontare questa epidemia non è certo una responsabilità che si può scaricare sulle/sui lavorator*, dopo decenni di sistematica distruzione del servizio sanitario nazionale. In modo particolare ha pesato come un macigno il taglio di personale e di finanziamenti per 37 miliardi dai bilanci della Sanità Pubblica negli ultimi 10 anni e la soppressione di 70.000 posti letto, con la chiusura di 359 reparti, oltre ai numerosi piccoli ospedali riconvertiti e abbandonati.

Uno dei dati più evidenti di questa impreparazione culturale, tecnica e scientifica è sicuramente la mancanza strutturale di dispositivi individuali di protezione specifici (DPI): maschere FFP2 e FFP3, camici, calzari, occhiali, guanti monouso. Le/gli operator* continuano ad essere obbligati a lavorare, spesso in condizioni drammatiche, sprovvisti di questi presidi e senza che vengano svolte le procedure di sanificazione anche in presenza di casi positivi.

In questo contesto la mancanza di personale, figlia del blocco decennale del turn over, ha avuto conseguenze drammatiche sugli ospedali e in particolare sulle terapie intensive, sui servizi territoriali, ma anche sulla rete dei medici di medicina generale, sulle residenze sanitarie assistite (case di riposo) e sulle comunità residenziali. La soluzione proposta di continuare con le assunzioni di personale a tempo determinato e/o atipico non può risolvere i problemi di una sanità pubblica tutta da ricostruire. Così come non lo può risolvere il ricorso massiccio agli straordinari.

A fronte di questa manifesta inadeguatezza le uniche misure individuate sono quelle di una gigantesca segregazione domiciliare delle/dei cittadin*. Misura che, se sicuramente aiuta a ridurre gli effetti del contagio, non può essere certo considerata risolutiva. Tanto meno la segregazione domiciliare avrà effetto se si considera che fino ad oggi, prima del nuovo decreto del 21/03, erano ancora tantissime (oltre il 35%) le attività produttive, non a carattere essenziale, che continuavano a rimanere aperte, obbligando tantissim* lavorator* a spostamenti ad elevato rischio per sé e per gli altri. Dato questo che peserà sul numero delle/dei contagiat* ancora per parecchie settimane.

Per altro non è affatto scontato che la chiusura delle attività sarà così ampia come viene dato a credere, considerate le pressioni degli industriali.

La concorrenza tra Regioni e Stato sulle competenze in materia sanitaria, che si è sviluppata all’inizio dell’epidemia, ha impedito in queste settimane l’uniformità delle decisioni e dei provvedimenti da assumere spesso in nome di interessi territoriali. Interessi che hanno determinato disomogeneità sulle misure applicate e sullo stesso numero dei dati epidemiologici registrati nelle regioni del Nord.

Inoltre, la rapida diffusione del Covid-19 ha fatto emergere i limiti dell’ospedalizzazione come unica soluzione per la gestione delle/dei pazienti positiv*. La carenza di posti letto rende ora imprescindibile un’immediata riorganizzazione e ampliamento delle cure domiciliari soprattutto per pazienti anziani e fragili. Nel caso di contagiati in quarantena e anche dimessi dagli ospedali (ma ancora in isolamento per controlli prima del ritorno a casa a contatto con altre persone), è diventato improcrastinabile valutare l’opportunità di requisire alberghi vuoti con camere e bagno per bloccare il contagio e stabilizzare la situazione.

La riorganizzazione della rete di assistenza domiciliare non può essere delegata esclusivamente ai medici di base. Il numero di questi ultimi dovrà in ogni caso essere congruamente incrementato, considerando che, per i prossimi anni, se ne prevedeva già una carenza di oltre 40 mila unità.

Nelle RSA e in tutte le comunità residenziali la situazione è ancora più critica, perché le/gli ospiti, una volta contagiat*, spesso devono essere ospedalizzat* all’interno della stessa, inadeguata strutturalmente, priva di mezzi e di personale per fronteggiare questo tipo di emergenza. In queste condizioni le RSA, come gli ospedali, da luoghi di cura rischiano di diventare focolai di epidemia, come la Lombardia ha dimostrato.

Infine riteniamo che non sia più rinviabile l’esecuzione di tamponi di controllo periodici (max 3 giorni) sui Medici di Medicina Generale, su tutto il personale che lavora negli ospedali, sanitario e non e senza distinzione di contratto, sul personale e sulle/sui pazienti delle RSA e in tutte quelle situazioni in cui si svolge attività di front office.

In questa ottica deve essere immediatamente riattivata la rete dei laboratori dismessa in questi anni di tagli e requisiti e riconvertiti a questa funzione anche quelli privati.

Facciamo appello a costruire un fronte ampio di lavorator* della sanità e non solo che sia disposto, come primo passo, a mobilitarsi con ogni mezzo possibile per:

  • Garantire, in conformità al D.Lgs. 81/08, adeguati DPI specifici per tutti le/gli operator* socio sanitari ospedalieri (Medici, Infermier*, OSS, Ausiliari, lavorator* delle imprese) ed extra-ospedalieri (MMG, personale e pazienti delle RSA, addett* al trasporto), e per tutti i lavorator* che svolgono attività a contatto con il pubblico in qualsiasi settore produttivo.
  • Pretendere che vengano eseguiti su questi lavorator* tamponi di controllo periodici (max 3 giorni) e che gli stessi vengano effettuati non solo per i sintomatici positivi ma anche per quelli che vengono dimessi, clinicamente guariti, ma ancora infetti, al fine di interrompere la catena del contagio. L’esecuzione di tamponi va estesa anche a tutti i contatti diretti di pazienti positivi.
  • Opporsi, con tutte le nostre forze e con tutti i nostri mezzi, all’ipotesi aberrante di inviare i contagiati dimessi nelle RSA. Questa scelta scellerata aumenterebbe le possibilità di far ripartire l’infezione, considerato che nelle RSA sono presenti molti degenti anziani con patologie multiple, quindi con un maggiore rischio di letalità.
  • Lottare per l’immediata riorganizzazione della rete territoriale e l’ampliamento delle cure domiciliari, soprattutto per pazienti anziani, fragili e adolescenti, procedendo anche alla requisizione di alberghi vuoti e di tutti gli immobili necessari a fronteggiare l’emergenza, in particolare di coloro che sono ancora in fase di guarigione.
  • Rivendicare con forza la modifica immediata delle misure per l’assunzione di nuovo personale inserite nel “decreto cura Italia”. Queste, infatti, proseguono nella logica, dimostratasi fallimentare, di acquisire solo risorse precarie, atipiche ed esternalizzate, finalizzate all’emergenza, che rendono le/i lavorator* e le/i pazienti meno tutelat*.NON SIAMO DISPOST* A PAGARE PER QUESTE SCELTE SCONSIDERATE CHE VENGONO DA LONTANO. NON SIAMO DISPONIBIL* A PAGARE CON LA VITA QUESTA IRRESPONSABILITÀ!22/03/2020

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